Articoli di Giovanni Papini

1959


in "Dal diario di Giovanni Papini":
Al traguardo dei cinquant'anni

Pubblicato su: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXXIV, fasc. 177, p. 3
Data: 26 luglio 1959




pag. 3



   Più volte, nel suo diario, Giovanni Papini espresse qualche dubbio circa la propria vocazione di diarista. Il diario di Papini è, infatti, molto saltuario. Abbondantissimo in alcune annate, in altre invece tace del tutto, o si riduce a pagine di schematiche annotazioni. Incomincia, come qui si vede, con l'Ascensione, 1° giugno 1916, alla partenza da Firenze per Bulciano (Arezzo); dove il Papini s'era fatta una casetta, e dove soleva passare con i suoi una parte dell'anno. Ma nel 1916 il diario è scarso come è scarso tra i! 1917 e il 1920. Acquista lena dal gennaio 1921, allorchè sta per uscire la Storia di Cristo. Poi, di nuovo, perde fiato. Con una pagina del 1931, ch'è una meditazione sui «cinquanta anni», si chiude la puntata d'oggi dalla quale passeremo direttamente al settembre 1942, quando, come vedremo, il diario ripiglia fittamente fino al 1953.


BULCIANO, 1 GIUGNO 1916

   Ascensione. Si parte per la montagna. Sole. Arrivati ad Arezzo non c'è più il treno dell'Appennino. Si va in un'automobile mezzo fracassata, e guidata da un sordomuto, avidissimo di fogli da dieci, fino alla chiesina. Comincia a piovere appena scesi. Si ascende a Bulciano a piedi sotto l'acqua. Fame e sonno.

7 GIUGNO

Leggo, cioè scorro, le antologie del Pascoli, delle quali mi avevan detto meraviglie. Le trovo inferiori all'aspettativa. Meno alcune belle cose, già conosciute e volgarizzate, c'è della gran roba mediocre e accademica e brutta addirittura.

12 GIUGNO

Comincio a leggere, e non so che volta sia, i Promessi sposi. Ora che guardo soltanto alla finezza e all'arte, ci trovo via via di gran bellezze. L'atmosfera morale non mi va; ma che prosa, certi momenti!

21 GIUGNO

Ripiglio Bloy: Exégèse des lieux communs. Ci sarebbe da rifar questo libro più completo e con altro spirito. Senza quelle ripetizioni apocalittiche, cercando di analizzar freddamente i luoghi comuni (e i proverbi di tutti i popoli), per vedere ciò che realmente pensano i più. La imbecillità degli uomini, dimostrata da loro medesimi.

La «Storia di Cristo»

FIRENZE, 9 GENNAIO 1921

Oggi finisco quaranta anni. Non posso fare a meno di rammentarmi le parole di Péguy: Quarante ans c'est un âge impitoyable... Paiono pedanterie cronologiche, eppure hanno un significato morale: fine d'un'epoca, principio d'un'era: un'era per noi «ombre effimere»! proponimenti per il futuro, sempre sinceri, sempre smentiti. Calcolo, forse con troppa ingenuità o troppa superbia, di avere ancora venti anni di vita e di lavoro dinanzi. Venti sono passati (perchè ho cominciato a stampare coi primi del secolo), e non saprei, ora, giudicarli. Ma so con certezza che vorrei migliori questi altri venti.

13 GENNAIO

Viene da me Levasti con Buonaiuti e Fracassini. Sopraggiunge Giuliotti, e si comincia un gran discorso su Chiesa e Cristianesimo. I due preti: Buonaiuti e Fracassini, accettano il Vangelo, specie Buonaiuti, senza restrizioni e con un calore che par sincero; ma quanto alla Chiesa. e all'autorità della Chiesa, ricascano nel solito equivoco modernista, che la Chiesa siamo noi, ecc. Spettacolo strano e anche penoso veder tre laici difendere là disciplina romana e la supremazia del Papa contro due preti. Vado poi alla conferenza che Buonaiuti fa su San Girolamo. Stile giornalistico; erudizione, e un po' di malignità. Il Santo non si vede, Buonaiuti, invece che prete cattolico, doveva essere pastore protestante e professore di «filologia neotestamentaria».

15 GENNAIO

Mi arriva stamani la notizia che Buonaiuti è scomunicato, specie per il suo scritto su San Paolo, dove par che neghi la «presenza reale». C'era da aspettarselo. Ed io avevo un presentimento di questa sorta, quando gli domandavo, l'altro giorno, in quali relazioni era col Vaticano. Con me fu ottimista; mi disse ch'era ben visto dal cardinale Gasparri, segretario di Stato, e che si tornava, anche in fatto di studi, alla tolleranza di Leone XIII. L'hanno fatto condannare, si crede, i gesuiti della Civiltà cattolica, da lui ingiustamente disprezzati e combattuti. Credo che si sottometterà; ma io gli dissi che non ci sono soltanto rinunzie materiali, e quelle spirituali costan di più.

14 MARZO

Stamani ho finito di correggere, per la «quarta volta», le bozze della Storia di Cristo; prima di Pasqua il libro uscirà. Non sono, neppur ora, proprio contento. Mi pare che potrei ancora migliorare, almeno lo stile. Ma non c'è confronti tra il manoscritto e la forma definitiva. Alcune pagine son quasi rifatte, altre soppresse, altre aggiunte. A forza di rileggerlo tante volte, non so più neppur io che cosa valga né che impressione può fare. Vedremo cosa diranno gli altri. Mi pare, infine, che non sia una cosa ignobile. Forse potrà fare del bene. Vi sono dei passi che piacciono anche a me. Ma forse la superbia mi travia.

23 MARZO

Oggi mercoledì Santo, ho le primissime copie della Storia di Cristo. Sono felice.

24 MARZO

Do le prime copie: la prima a Pietrino, il mio fornaio, la seconda a Giacinta, la terza a Don Emanuele Magri, il mio revisore.

26 MARZO

Oggi, sabato santo, mi confesso per la prima volta, dopo tanti anni.

27 MARZO, PASQUA

Mi comunico la mattina presto a Orsanmichele. Non ci sono che poche donne nell'ombra. Mia grande agitazione. Pace. Pasqua più contenta degli altri anni.

30 MARZO

Lunga conversazione con H. G. Wells. Fisionomia comune d'inglese ben nutrito: potrebbe essere un capitano in borghese o il direttore d'una banca. Mi fa molte domande sul mio libro, che leggerà appena tradotto in inglese. Si parla della sua teologia, delle guerre future; giudizi cauti su Kipling, Shaw e Chesterton. Dice che il fondo di Chesterton è di Hilaire Belloc. Si parla anche del diario di Barbellion. Mi dice che in Inghilterra gli unici italiani di cui si parla ora sono Croce e Papini. Non capisce affatto il cristianesimo, e tanto meno il cattolicesimo. La sua mentalità è quella del 1895: evoluzionismo, democrazia, futura pace universale, scienza, stati uniti del mondo.

22 APRILE

Vado a casa Placci. C'è Sazonoff, un vecchietto che parla in francese, con grande amabilità, delle cose più terribili. Fu lui che ricevette la dichiarazione di guerra dalla Germania. C'è Cadorna, che vedo per la prima volta: un vecchietto asciutto, solcato, con due baffetti bianchi, mezzo calvo. Arzillo, vivace, ciarliero: forse un po' bilioso. Si parla della guerra e di Caporetto; ce l'ha con Orlando e in genere con gli uomini politici di allora. E' un piacevole conversatore, e capisco che doveva incantare con quell'aria di onesta sicurezza; ma sorprendo nei suoi discorsi delle ingenuità, delle ignoranze: non ha l'aria severa e decisa dei veri capi. Pensare che gli furono affidati milioni di uomini, e che fu, per tre anni, padrone d'Italia! C'è anche la figliuola, che ha scritto, dice, un articolo sul mio libro; e una nipote di Fogazzaro con la quale si parla molto del nonno.

20 DICEMBRE

Riunione in casa di Bruno Cicognani per decidere se fare o no la rivista di cui si parla da tanto tempo. C'è Levasti, Giuliotti, Mastri. Nessuno si sente d'impegnarsi a fondo per una opera continua e fissa. Io e Giuliotti ci si dovrebbe imbarcare soli, e aspettare gli altri. Cioè fare quasi tutto noi, e lasciare gli altri lavori e pensieri. Io, se avessi venti o trent'anni, non mi farei addietro davvero. Ma ho quaranta anni passati, e debbo fare tre o quattro libri che mi premono, e che possono avere un'influenza buona e vasta nel mio paese, forse anche fuori; e non mi pare d'avere il diritto di tralasciare e rimandare, per un'opera ch'è certamente utile e forse urgente, ma che sarebbe, come tutte le riviste, momentanea e transitoria.

Esami di coscienza

BULCIANO, 30 AGOSTO 1922

Son da tre mesi quassù, vecchio rifugio propizio, e non ho concluso nulla. Sono arrivato, stanco, da Firenze, dove tutto l'inverno e la primavera non ero riuscito a far nulla di quel che volevo, un po' per la gente, un po' per la mia infingardaggine. Speravo dì scrivere quassù, di finire uno de' tanti libri che ho nella testa (troppi). Le scuse non mancano, non mancan mai; perché anche qui è venuta gente, più degli altri anni: Pancrazi, Giuliotti, Allodoli, il Vescovo di San Sepolcro, due del «Carroccio», ecc. Eppoi da tre mesi non piove (oggi soltanto è arrivata l'acqua, dal maggio!), e l'aria arida, pesa, bollente, afosa, m'infiacca. Ma queste sono scuse: la verità è che passo da una settimana all'altra, da un'idea all'altra; e le opere che vedo son molte, e ora mi attira quella e ora questa e non riesco a infilare una strada e a camminarci fino in fondo. Sul primo volevo riprendere il romanzo, poi mi tornò l'idea del libro sull'Italia, di qui passai alla Storia in numeri, poi al Rapporto sugli uomini, e mi rifeci da capo a raccogliere appunti, a tesser la tela e scrissi anche qualche pagina. Sicché ho lavorato molto, ma senza costrutto, senza resultati definitivi, perché mi restano appunti e spunti, e il più è da fare... I miei difetti sono l'incertezza, la volubilità, l'ambizione del grande e del troppo. Forze poche e propositi molti. Poi il senso cresciuto della responsabilità, dopo la fortuna della Storia di Cristo, dopo la quale non posso fare una cosa qualunque, o mettere insieme un libro, come facevo prima, con articoli o frammenti. Della generazione venuta su dopo d'Annunzio, io sono lo scrittore dal quale temono o aspettano di più; il più letto e il più infamato; e la mia sorte dipende molto da quel che sto per fare. Indo indecisione.

FIRENZE, 28 DICEMBRE 1930

M'accorgo di non essere un Amiel. ll diario mi attira poco. Ma siccome s'avvicina, per me, il mezzo secolo, e voglio fermare alcuni propositi, maturati nell'esperienza di questi ultimi anni, mi decido a riaprire questo quaderno. Ch'io debba vivere ancora dieci giorni o dieci anni, vorrei seguire, ormai, una regola di vita che mi faccia migliore e mi salvi dagli sperperi e dalle disillusioni, dagli infiniti fastidi della pratica. E anche dalle deviazioni e tentazioni intellettuali e letterarie, che portan via tempo e forze senza frutto vero e ritardano quella ch'è la missione accettata della vita: essere il portavoce dell'umanità che si scopre e si confessa. Dunque: partecipare di più alla vita della Chiesa (vita liturgica e sacramentale). Fare ogni tanto meditazione e, potendo, ritiri di qualche giorno. Reprimere certe tendenze che mi guastano: alla mordacità, alla pigrizia.

FIRENZE, 24 APRILE 1931

Penso a me stesso. Chi sono: uomo di cinquanta anni, nato a Firenze. Scrittore celebre, e tutti i giorni insultato dai giornali. Ma ho qualche originalità. Unico forse fra tutti gli italiani, non ho mai rivestito una divisa, né frac, né domino, né toga, né tonaca. Nessuna livrea, neppure quella della patria. E son l'unico, credo, che non ha mai sparato un'arma (in questi tempi di guerre e rivoluzioni), neanche per chiasso. Non ho mai ammazzato né uccelli né lepri né uomini. E non sono nulla, neanche cavaliere, neanche giurato, neanche accademico, neanche cittadino o presidente onorario. Non ho mai messo un distintivo al mio occhiello. Mai una tuba sul mio capo. Non appartengo a nessun partito, a nessun club, a nessuna confraternita... Non sono contento della chiesa alla quale appartengo (la fede sì, ma gli uomini no), né del paese dove son nato, ne dello Stato al quale appartengo e neppure delle mie opere. Non sono contento del mio tempo, non sono contento di me. Ed ho amato tanti amici che non credo più all'amicizia...


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